Cinghiali radioattivi: salgono a 166 i casi accertati

Il fenomeno, probabilmente legato alla nube di Cernobyl del 1986, tocca in particolare la Valsesia

E’ salito a 166 il numero di cinghiali “radioattivi”scoperti dall’ Istituto Zooprofilattico Sperimentale di Piemonte. Liguria e Valle d’Aosta.  L’allarme era scattato nel marzo dello scorso anno quando si accertò un alto tasso di Cesio 137 in 27 animali. Da allora l’Istituto diretto da Maria Caramelli ha continuato a monitorare la situazione e analizzato1.441 campioni (all’85% si tratta di carcasse di cinghiali, per il resto di camosci, caprioli, cervi, daini, lucci, tassi, volpi). Anche i nuovi casi di cinghiali radioattivi provengono dalla provincia del Verbano-Cusio-Ossola e in particolare dalla Valsesia.

L’occasione per fare il punto della situazione è stata il convegno “Caccia e cacciagione: dalla salvaguardia di fauna e ambiente alla tutela del consumatore”, organizzato dall’ Istituto Zooprofilattico al Sermig di Torino. Presenti ricercatori, docenti universitari, rappresentanti delle organizzazioni agricole e venatorie e più di 200 veterinari di tutto il Piemonte e da altre regioni italiane.

«L’Unione Europea – spiega Maria Caramelli – ha stabilito che i livelli massimi di radioattività nei selvatici non devono superare i 600 bequerel per chilogrammo di peso. Nei nostri laboratori è emersa una concentrazione di Cesio 137 significativamente superiore in oltre il 10% dei campioni esaminati”. I cinghiali radioattivi sono la conseguenza del disastro di Cernobyl del 1986: “La nube tossica – afferma ancora Maria Caramelli – transitò sulle regioni del Nord del nostro Paese. In Valsesia le ricadute radioattive furono particolarmente intense per la pioggia che cadde in quel periodo. Carcasse di selvatici provenienti da altre aree del Piemonte non hanno rivelato nessuna contaminazione».

Nel corso del convegno è stato sottolineato come, nonostante il calo dei cacciatori, cresca la selvaggina cacciata, che può essere portatrice di rischi per la salute dei consumatori, sia per la presenza di batteri e virus dannosi per l’uomo (influenza aviaria, sars ed ebola sono state le emergenze più eclatanti degli ultimi anni) sia di metalli pesanti e pesticidi di cui potrebbe essere contaminato l’ ambiente dove vivono questi animali. E’, dunque, importante sottoporre i capi uccisi a controlli. La Regione Piemonte si è dotata di un Piano di monitoraggio. Ma dal convegno è emerso che ancora oggi solo il 50% del carniere di un cacciatore viene sottoposto ad analisi prima di essere consumato.