Angelo Fragonara apre con Ungaretti il I ciclo del XXX anno di attività dell’UniTre di Vercelli

La parola come salvezza

Giovedì scorso, 4 ottobre, nell’Aula Magna del Seminario, l’Università della Terza Età di Vercelli ha inaugurato il primo ciclo di incontri del suo XXX anno di attività. Anche quest’anno la conversazione inaugurale è stata affidata al Prof. Angelo Fragonara, che ha proposto all’uditorio  – in  coerenza con il tema conduttore che guida il ricco programma, Tra geografie e geometrie spirituali –  una suggestiva interpretazione della poesia di Giuseppe Ungaretti, tracciata intorno al titolo “Giuseppe Ungaretti: il respiro dell’Universo e il dolore della Storia”.

Il relatore ha illustrato, con puntuali riferimenti testuali, in che senso l’opera poetica di Ungaretti possa essere intesa come “autobiografia dell’anima”:  di un’anima che fa della poesia un’incessante esplorazione della propria esperienza umana, in cerca di “un paese innocente”. Questo  itinerario si sviluppa fra paesaggi sconfinati e abbacinanti di deserto egiziano, desolazioni lunari del Carso, brumosità parigine in infinite gamme di grigio, nebbie milanesi che si sovrappongono e si fondono per comporre, nella memoria e nella trasfigurazione poetica dei simboli, una vera e propria “geografia dello spirito”. L’itinerario (i temi del viaggio, del mare, il tema dei naufràgi e delle riprese del viaggio) è itinerario di ricerca di una innocenza perduta dell’Uomo, per ritrovare un Eden da cui si è stati cacciati con dolore, per ritrovare un’armonia primigenia e incorrotta.

Questa ricerca coincide, in Ungaretti, con uno scavo in profondità per riportare alla luce dalla profondità sommersa del “porto sepolto” (cioè dal segreto del cuore umano) una parola che illumini, che nell’attimo dia la conoscenza, manifesti la verità e la comunichi agli altri.

A ben vedere, ha osservato Fragonara, in questa ricerca si avverte nella poesia ungarettiana un’ansia di assoluto che è di natura religiosa: sia che si tratti di quei momenti di armonia in cui il poeta si sente, nell’orrore della guerra, “una docile fibra dell’universo”, “immagine passeggera / presa / in un giro immortale”; sia che egli rievochi commosso la fede forte e severa della madre, e la veda ferma come una statua davanti al Signore, per ottenere il perdono del figlio; sempre si avverte che la parola di Ungaretti si tende come una fune sul baratro della morte, dell’abisso, del nulla, per trovare una salvezza dalla disperazione storica, dal dolore individuale e collettivo.