Dalla Chiesa cattolica ben 60 milioni di euro per aiutare il Corno d’Africa

Per fronteggiare l’emergenza della carestia e della siccità. Alla recente riunione del Pontificio Consiglio Cor Unum era presente anche un delegato della Chiesa anglicana inviato dall’Arcivescovo di Canterbury

La Chiesa cattolica, tramite i suoi organismi umanitari, contribuirà all’emergenza carestia e siccità nel Corno d’Africa con 60 milioni di euro. Attualmente sta aiutando 1 milione di persone (su 13 milioni e 300 mila persone che hanno bisogno di assistenza diretta, principalmente in Somalia, Etiopia, Kenya e Gibuti) e ha già messo a disposizione 31 milioni di euro, raccolti tramite collette e offerte in tutto il mondo. Nel frattempo un messaggio dell’arcivescovo di Canterbury Rowan Williams sull’“importanza cruciale di collegare azione umanitaria e sviluppo degli interventi” è stato inviato, tramite un suo rappresentante che vi ha preso parte, alla riunione dei principali organismi caritativi cattolici, riuniti per la prima volta dal Pontificio Consiglio Cor Unum per riflettere sulla situazione e gli interventi della Chiesa nell’emergenza siccità che coinvolge 13 milioni 300 mila persone. L’iniziativa ha fatto seguito a una lettera che l’arcivescovo capo della Chiesa anglicana ha inviato al Papa, esprimendo le sue preoccupazioni sulla situazione nei Paesi del Corno d’Africa, come precisato dal card. Robert Sarah, presidente del Pontificio Consiglio Cor Unum, durante una conferenza stampa che si è svolta venerdì 7 ottobre in Sala Stampa vaticana.

 

Nuove opportunità ecumeniche. Nel messaggio l’arcivescovo di Canterbury Rowan Williams ha ricordato che “le comunità di fede hanno un proprio ruolo distinto” da svolgere durante le emergenze umanitarie, “perché sono parte delle comunità locali ancora prima delle emergenze e rimangono durante e dopo, anche quando le agenzie umanitarie se ne sono andate”. A suo avviso “molte lezioni possono essere apprese da questa crisi”, tra cui “l’importanza di preparare e rafforzare la capacità delle comunità di prevenire e mitigare i disastri e cercare di prevedere le emergenze”. Il suo auspicio è che l’incontro di oggi “porti energia vitale e focus sulla crisi e stabilisca nuove opportunità di collaborazione ecumenica”.

 

Unire le forze. La presenza della Chiesa anglicana, ha precisato ai giornalisti il card. Robert Sarah, “è una iniziativa molto importante per unire le forze della comunità cristiana e rispondere insieme all’emergenza”, ricordando che il Papa, tramite Cor Unum ha sostenuto gli sforzi delle Chiese locali coinvolte (in Somalia, Kenya, Etiopia e Gibuti) offrendo 400.000 euro. “Si tratta di una significativa testimonianza di una carità che ci unisce e di cui ci facciamo portatori”. Il card. Sarah ha denunciato anche “i meccanismi che governano l’azione internazionale, che sono improntati alla ricerca dell’interesse di singole nazioni”: “Prevalgono gli aspetti dell’egoismo anche nella politica internazionale”. Ciò che preoccupa maggiormente il presidente di Cor Unum è il fatto che “milioni di sfollati che stanno vagabondando alla ricerca di sopravvivenza diventeranno domani profughi, clandestini, senza patria, gente che non ha una casa, un lavoro, una comunità. Un’intera generazione rischia di essere perduta”. A questo proposito ha lanciato un appello, rivolto soprattutto ai cristiani: “Impegniamoci a costruire scuole. Superata questa emergenza, dobbiamo intervenire nella formazione”. In sintesi, ha auspicato “una scuola in ogni villaggio”.

 

Appello alla comunità internazionale. “La comunità internazionale raddoppi gli sforzi per rispondere all’emergenza umanitaria ma s’impegni anche per trovare una soluzione al problema somalo: la mancanza di un’autorità e di uno Stato aggrava tutta la situazione”: è l’appello lanciato oggi durante la conferenza stampa da mons. Giorgio Bertin, amministratore apostolico di Gibuti e Mogadiscio (Somalia). Mons. Bertin, da 33 anni prima in Somalia poi, per necessità di sicurezza, a Gibuti (da 10 anni), ha invitato ad “andare al di là della risposta emotiva, chiedendosi anche il perché di questa situazione: dobbiamo rispondere all’emergenza tenendo gli occhi aperti sul futuro, cercando di evitare ciò che si può evitare”. A suo parere gli sforzi della comunità internazionale per risolvere la situazione politica in Somalia (15 conferenze internazionali) “hanno prodotto risultati piuttosto scarsi, ma non dobbiamo comunque rinunciare”. Rispondendo alle domande dei giornalisti sull’effettivo arrivo degli aiuti umanitari, soprattutto nelle sette regioni somale più colpite, ha precisato: “Sì è difficile farli arrivare ma non impossibile. Ci sono organizzazioni umanitarie musulmane accettate dagli Shabaab. Da parte nostra, noi non facciamo arrivare aiuti alimentari ma denaro comprando il necessario nei mercati locali”.

 

Gli interventi. Oltre agli appelli mondiali di Caritas internationalis, molte Chiese locali si sono mobilitate organizzando collette nazionali per rispondere agli appelli del Papa. L’intervento attuale della Chiesa nel Corno d’Africa, ha spiegato Michel Roy, segretario generale di Caritas internationalis, consiste in “aiuti alimentari e supplementi nutrizionali per bambini; tende e medicine; acqua per persone, animali e coltivazioni; servizi igienici e sanitari; cure sanitarie; assistenza ai più vulnerabili; distribuzione di sementi; sostegno spirituale e psicologico”. Riguardo al futuro, ha precisato, “questo mese di ottobre sarà cruciale: se non pioverà la situazione peggiorerà, e le previsioni non sono buone. I campi sono troppo affollati con grossi problemi sanitari e gli aiuti non sono sufficienti”. La comunità internazionale, ha auspicato, “deve rafforzare gli sforzi per fronteggiare i bisogni reali e dare pace e stabilità alla Somalia e all’intera zona del Corno d’Africa”.

 

a cura di Patrizia Caiffa