Il messaggio di Pasqua dell’Arcivescovo di Vercelli, padre Enrico Masseroni

«La speranza ha un solo nome e ha il volto del Risorto che ha sconfitto la morte ed è entrato in una condizione di vita nuova. Il nome della speranza è la Pasqua; il vero inizio della vita»

foto Giorgio Morera

 

“Pasqua: diamo una mano alla speranza di tutti”

 

Una domanda mi torna sovente e non manca di inquietarmi: perché tanta gente alle celebrazioni del venerdì santo e comunità rarefatte alla veglia pasquale? Perché tutta la città sulla strada a fare siepe alla processione delle macchine e cerchi sparuti di persone illuminate dal fuoco sul sagrato della chiesa prima della grande veglia, nella notte madre di tutte le notti?

Cerco di abbozzare una risposta. Forse perché è più facile immaginare Dio dalla nostra parte, immerso nella nostra esperienza di croce che non immaginare la nostra esistenza immersa nella vita nuova di Dio; forse perché è più facile contemplare il Cristo crocifisso sul crinale del dolore umano che non la nostra vita immersa nella luce del Risorto. Tra il crocifisso e il Risorto, il cuore dell’uomo pende verso il crocifisso.

Anche la tradizione va in questa direzione. Anzi, fu proprio così nei giorni più drammatici della storia del mondo. I Vangeli sono puntuali nel raccontare il ritorno delle donne e dei discepoli al sepolcro. Nei loro occhi c’è un Cristo muto nel silenzio della morte; nei loro pensieri c’è un corpo da imbalsamare; nel loro cuore c’è un passato che ha spento la vita di Gesù per sempre. Ma proprio al sepolcro esplode la notizia che cambia la storia del mondo: «Cristo è risorto!» E con Lui nasce  la nuova umanità, ha inizio la nuova storia;  con Lui vince il futuro e nasce l’inedita speranza del mondo. La vita vince sulla morte.

Ma la domanda resta…Perché la fatica della speranza? Sì, la fatica di guardare al futuro. Eppure la speranza ha un solo nome e ha il volto del Risorto che ha sconfitto la morte ed è entrato in una condizione di vita nuova.

Il nome della speranza è la Pasqua; il vero inizio della vita. Nel passato c’è un segmento; nel futuro c’è l’eternità. Hanno ragione, dunque i testimoni delle origini a indicare la Pasqua come il primo giorno dopo il sabato. Il primo giorno della nuova umanità. Non è la nascita di Gesù a datare la genesi del mondo, ma la sua risurrezione. Più propriamente dovremmo dire: non post Christum natum, ma dopo il Cristo risorto.

L’Apocalisse, il libro della speranza, è ancora più puntuale: il primo giorno dopo il sabato è il “giorno del Signore” (Ap 1,10), il Cristo vittorioso sulla morte, alfa e omega del tempo. La speranza cristiana è vita. Non è un principio astratto, quasi una spinta dinamica nascosta nel grembo della materia, come immaginava il filosofo ateo E. Bloch,  uno dei tanti nostalgici della speranza. A tredici anni scrisse un saggio titolato: “Sistema del materialismo”, che si apre con una frase programmatica: “La materia è la madre di tutti gli esseri”. Per il filosofo, la speranza è una sorta di filo rosso che attraversa la materia, sino a liberarla dai suoi limiti e dalle sue alienazioni. Ogni sforzo dell’uomo rivela la possibilità di immaginare una società finalmente libera: il paradiso in terra.

 

No, il vero volto della speranza è riconoscibile, nel tempo, solo con gli occhi della fede; e oltre il tempo, con gli occhi della contemplazione, potenziata dalla luce di Dio. La Pasqua è davvero un nuovo inizio; per questo è proprio il caso di ripetere: è urgente ripartire, per riaprire sentieri di speranza.

Anzi, è urgente ripartire ogni settimana, con il primo giorno. La Pasqua non è una festa annuale; è una festa settimanale, perché la speranza ha bisogno di essere calata nella fatica della vita feriale. “Espérer pour tous” ( sperare per tutti) – titolava un suo libro il grande teologo Von Balthasar.

Da pochi giorni sono rientrato dal Mozambico, là dove ho condiviso un evento straordinario della comunità di Inhassoro: l’inaugurazione della chiesa dedicata a Sant’Eusebio. Anche la presenza dei nostri missionari laggiù è una testimonianza coraggiosa di una Chiesa vigile sulle frontiere dei poveri. La geografia della speranza è aperta, si affaccia sull’oceano Indiano. Anche noi della retroguardia siamo chiamati in causa. Ma la speranza non è evanescente: vede vicino e guarda lontano. Anche a noi  viene richiesto di dare una mano alla speranza di tutti, ogni giorno: ecco l’orizzonte. Ma alla sorgente di questa utopia c’è la Pasqua, il Risorto, il futuro di tutti.

Con un fraterno e cordialissimo augurio.

 

 

+ padre Enrico Masseroni arc.