L’omelia dell’Arcivescovo nella ricorrenza di S. Eusebio
Riportiamo di seguito il testo integrale dell’omelia pronunciata dall’arcivescovo, p. Enrico Masseroni, in occasione della solennità di S. Eusebio celebrata lunedì 1 agosto 2011.
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«Alla scuola della Parola di questa solenne liturgia, mi lascio provocare da due interrogativi di scottante attualità: possiamo, noi, ascoltare Eusebio, padre della Chiesa del IV secolo, come educatore delle generazioni che si affacciano all’orizzonte del terzo millennio? Può, Eusebio, aiutarci a sintonizzare con la Chiesa italiana, che va nella direzione dell’“educare alla vita buona del Vangelo?”.
Ci sono, infatti, parole senza aggettivi, che hanno la singolare prerogativa di qualificare una stagione della storia e di indicarne le prospettive di futuro. Da alcuni mesi la chiave interpretativa dell’impegno pastorale delle nostre Chiese, per il decennio appena avviato, è l’educazione. La rotta va in questa direzione.
L’emergenza educativa
E quando ritorna il problema educativo nei nostri discorsi, viene spontaneo declinarlo con altre parole, che hanno sovente il timbro del pessimismo o della rassegnazione senza speranza. Oggi si parla di emergenza, di sfida educativa.
E sono molti i fenomeni che motivano l’emergenza educativa. Il segnale più inquietante è la crescita del suicidio giovanile, sia in Italia e sia in Europa. Si allarga la metastasi del nichilismo come filosofia dell’esistenza, che provoca il rifiuto della vita.
Si parla di “effetto Werther”. Il suicidio dei giovani cresce per imitazione o emulazione. L’ effetto Werther evoca l’impatto emotivo che ebbe in Europa la pubblicazione del romanzo di Goethe, il più grande poeta filosofo tedesco del secolo XIX: “I dolori del giovane Werther”. In breve tempo si moltiplicarono i suicidi, nella stessa modalità del protagonista descritto nel romanzo: i giovani consumavano il suicidio indossando gli stessi abiti e lasciando aperto il romanzo alla pagina dove era descritta la morte di Werther.
Ne sono consapevoli i comunicatori della carta stampata e del piccolo schermo, o fingono di non saperlo?
La riprova della verità dell’“effetto Werther” è stata fornita dallo psichiatra austriaco G. Sonnek: egli convocò i giornalisti proponendo il rispetto di alcune norme nella comunicazione dei fatti di violenza: la sobrietà, la descrizione senza dettagli. Questa strategia, accolta da tutti gli organi di informazione a Vienna, risultò vincente: a partire dal 1987 i casi di suicidio giovanile diminuirono improvvisamente del 75% .
Questa patologia distruttiva delle nuove generazioni sembra circoscritta; in realtà è solo la punta d’iceberg di una generazione a rischio. L’autodistruzione fisica è solo la conseguenza della cultura del vuoto, che genera noia, indifferenza, appunto il sonno della coscienza. Il nichilismo fisico è quasi sempre l’esito del nichilismo metafisico, morale, di una vita vissuta senza senso. L’ebbrezza della velocità notturna sulle nostre strade, l’uso sfrenato dell’alcol e di sostanze letali, non nascondono forse una confusa stanchezza di vivere?
Alla scuola della Parola: la proposta educativa di Eusebio
Per questo, senza indulgere a tentazioni pessimistiche, ci chiediamo: che cosa può dire Eusebio a noi uomini e donne imbarcati sull’onda dell’emergenza educativa? Quale il programma educativo di Eusebio?
– La Parola di Dio tratteggia tre immagini di Eusebio vescovo, ben riconoscibili nel suo ministero:
anzitutto l’immagine della sentinella del profeta Ezechiele: “Figlio dell’uomo, ti ho posto per sentinella alla casa d’Israele. Quando sentirai dalla mia bocca una parola, tu devi avvertirli da parte mia”. La sentinella di Ezechiele è vigile nel custodire la casa di Israele; la sentinella di Isaia guarda invece sull’orizzonte oscuro, per avvistare le prime luci dell’aurora: “Custos, quid de nocte?”. A quando finalmente il chiarore dell’aurora dopo il buio?
La virtù principe della sentinella, la sua valenza educativa, è la vigilanza, che esprime attenzione, discernimento, fedeltà. Eusebio fu un esempio luminoso di sentinella vigile, di custode fedele della sua Chiesa, perché non venisse travolta dal vento dell’errore, l’eresia di Ario. Eusebio, fu un solerte educatore alla vigilanza, alla verità di Gesù, Dio e uomo, proclamata nel grande concilio di Nicea (325).
La vigilanza è sinonimo di presenza. Educare significa esserci, stare accanto, accompagnare, esattamente il contrario della latitanza.
– La seconda immagine evocativa di Eusebio educatore è quella dell’apostolo.
Paolo, nella lettera ai cristiani di Filippi, invita a guardare al modello: Gesù. “Abbiate in voi gli stessi sentimenti che furono di Cristo Gesù”.
Così Eusebio: “Vi scongiuro: custodite la fede” scrive dall’esilio alle comunità di Vercelli, Novara, Ivrea e Tortona. La passione educativa dell’apostolo consiste nell’indicare Gesù. L’originalità dell’educazione cristiana consiste nel modello. La pedagogia cristiana non addita dei valori astratti di sapore illuministico, che non affascinano nessuno, e tantomeno i giovani. Paolo invita i Filippesi a modellarsi su Gesù, a sintonizzare sulla stessa lunghezza d’onda del suo sentire: “Abbiate in voi gli stessi sentimenti di Gesù”.
Allo stesso modo Eusebio scongiura i vercellesi a custodire la fede, come il tesoro più prezioso; quella fede che è chiaramente cristocentrica: si tratta di accogliere Gesù, l’unica persona capace di dare un senso pieno alla vita, affrancandola dalla cultura del vuoto, che guarda sull’abisso del nulla, e genera voglia di uscire dalla scena.
Ma c’è una terza immagine suggerita dalla parola di Dio, che in Eusebio ha una chiara valenza educativa: quella del pastore: il bel pastore, dice il testo greco.
L’espressione giovannea del pastore lascia subito immaginare un chiaro progetto educativo: educare all’appartenenza. L’immagine iconica di Gesù è ricca di significato: “Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me… Ho altre pecore che non sono di questo ovile, anche queste io devo condurre”. L’educatore ha un progetto preciso: la comunione; l’umanità in diaspora avverte una voce che chiama, la nostalgia dell’ovile. Soprattutto, l’educatore sa entrare in dialogo, chiama per nome, conosce le persone ad una ad una, segna il passo per il delicato cammino della libertà nella direzione delle chiamate di Dio.
A Gesù fa eco Eusebio, il quale nella grande lettera ai Vercellesi dall’esilio di Scitopoli (a sud della Palestina), riassume il suo testamento spirituale: “Propter quod satis vos peto, ut cum ommi vigilantia custodiatis fidem… servetis concordiam”: “Vi scongiuro: conservate la pace tra voi, o la concordia, dicono altri. Le due parole, in verità, non sono sinonime. La pace guarda di più sul versante oggettivo dell’armonia; la concordia, invece, va alla sorgente della pace; indica l’armonia dei cuori, degli intenti; la concordia allude, alle fatiche soggettive, ai passi concreti della vita quotidiana, laddove troppe volte si corre il rischio di abdicare e tradire.
Tre immagini dunque: la sentinella, l’apostolo, il pastore, consegnano il programma educativo di Eusebio, speculare al modello “Gesù”.
Per una politica “guardabile” e rispettosa
Nel prossimo futuro la parola educazione verrà declinata in tanti modi: e quando noi ci permettiamo di ricordare la responsabilità dei soggetti educativi – la famiglia, la scuola, la comunità cristiana – troviamo tutti d’accordo.
Ma “la comunità cristiana, scrivono i vescovi negli Orientamenti pastorali, offre il suo contributo e sollecita quello di tutti perché la società diventi sempre più terreno favorevole all’educazione” (n. 50). Ciò però “richiede il coinvolgimento non solo dei genitori e degli insegnanti, ma anche degli uomini politici, degli imprenditori, degli artisti, degli sportivi, degli esperti della comunicazione e dello spettacolo” (n. 50).
E’ la politica, la voce che più di altre, entra ossessivamente ogni giorno nelle nostre case; è l’alleata più forte della cultura dei media: crea mentalità, forma o deforma le coscienze. La famiglia, la scuola e la comunità cristiana, i primi soggetti educativi, sono messi sovente fuori gioco dalla cronaca quotidiana farcita di violenza. Per questo possiamo ben dire che nel DNA dell’uomo pubblico c’è una vocazione educativa, costruttiva o distruttiva.
Proviamo a chiederci, qualche sera, davanti al piccolo schermo: quale messaggio educativo passi nella mente dei nostri giovani, di fronte a certe scene di vita politica? Che cosa possono fare le famiglie, la scuola e la comunità cristiana quando la cultura politica e la cultura mediatica si pascono di violenza psicologica e verbale? Come è possibile chiedere l’educazione e il rispetto nelle nostre aule scolastiche?”.
Il presidente della CEI, card. Angelo Bagnasco, nell’ultima Assemblea di maggio, ha fatto un’affermazione grave: “La politica è inguardabile”. La questione dunque è chiara: “Come renderla guardabile? Come renderla educativa, dignitosa, autorevole?”.
Forse di fronte a questa prospettiva di politica alta, ci viene la tentazione di ritenerla un’ utopia.
Eppure, ancora una volta, Eusebio, scrivendo ai Vercellesi, fa un invito coraggioso: “Questo è il tempo della prova; è il tempo in cui quelli che sono provati devono rialzare la testa”.
Lungi dal provocare fughe o deleghe, l’ora della prova chiama soprattutto i credenti a rimotivare la fede, a ritrovare le ragioni della speranza, perché non manca, scrive Eusebio, la “consolazione”del Signore. L’ora della prova, chiede la visibilità dei testimoni, la sola alternativa capace di neutralizzare l’effetto Werther.
Ma ciò significa restituire al servizio della cosa pubblica la sua dignità, la sua autorevolezza virtuosa, riconoscendo la sua identità nell’essere la più alta forma di carità, come diceva Paolo VI.
Per questo la politica non è l’area sporca della società da cui prendere le distanze per investire i buoni sentimenti dell’altruismo nello spazio del volontariato.
Non è neppure una ribalta da cui gridare parole inflazionate, lasciando dietro al sipario un’immagine di vita ambigua.
Urge, pertanto, restituire coerenza all’agire politico; diversamente la credibilità della carità politica suscita solo ironia.
Forse anche la profezia di una vocazione al servizio del bene comune, animata dall’amore evangelico, non scende dall’alto; ma parte dalle nostre periferie, dalla vita quotidiana delle nostre comunità civili.
Urge restituire rispetto alla stessa dialettica politica: non si vince contro l’avversario distruggendone la buona fama.
Urge saper riconoscere il giusto da qualunque parte esso provenga: non è l’ideologia o lo spirito di parte, la chiave ermeneutica del giudizio politico: è la verità, il rispetto, l’amore per la città, per la persona; è la preoccupazione educativa.
Io sono profondamente grato a tutti coloro che, con sacrificio e dedizione disinteressata, danno testimonianza di un vero servizio alla comunità, per il bene di tutti.
La polis è l’espressione laica della virtù teologica della comunione; è la testimonianza visibile e dignitosa della concordia, di cui scrive Eusebio.
Il Congresso eucaristico: “Da una comunità eucaristica a una comunità educativa”
Ma il proto-vescovo, padre della nostra Chiesa, indica un preciso fondamento della concordia: la fedeltà a Cristo e incoraggia anche noi a trovare la sorgente della comunione, della pace… per le nostre famiglie, per le comunità cristiane e soprattutto per la nostra comunità civile.
Nel prossimo mese di settembre questa città sarà chiamata a celebrare un grande evento, che ci riporta a riscoprire la sorgente della concordia, il suo segreto: il Congresso Eucaristico diocesano.
Questo appuntamento di popolo non è un evento devozionale; bensì un’esperienza straordinaria della prossimità di Dio nel vivo della nostra storia, faticosa, contraddittoria; ma pur sempre ricca di germi che lasciano prevedere nuove stagioni, perché abitata da Dio.
Il Congresso Eucaristico sarà un evento che chiama tutti a “rialzare il capo”, nel segno della speranza, per rendere più umana, più bella e più solidale la città degli uomini.
Ricordo volentieri la luminosa testimonianza di un grande laico cristiano, Vittorio Bachelet: vice presidente del Consiglio superiore della Magistratura, docente universitario, presidente dell’Azione Cattolica, ucciso dalle brigate rosse nel febbraio 1980 nella sua stessa Università, al primo piano della Facoltà di scienze politiche.
In un’intervista, ai figli fu posta la domanda: che cosa avesse lasciato in loro l’esempio del padre. “Il papà, dissero, ci ha soprattutto trasmesso la testimonianza della centralità di Gesù e dell’Eucaristia nella vita… Molti pensano che proprio per questo, perdano importanza la cultura, l’impegno politico e professionale… Molti hanno adottato questo schema: siccome quello che conta è Gesù Cristo, il resto non ha importanza. Invece, per nostro padre, proprio perché Gesù è centrale, tutto il resto acquista un valore sommo”. (Avvenire 30 gennaio 2000).
Di fronte all’evento del Congresso Eucaristico vorrei pertanto augurare a tutti di sperimentare il desiderio di Mosè, davanti al “roveto ardente”: “Voglio avvicinarmi a osservare questo grande spettacolo: perché il roveto non brucia?” (Es 3, 3).
Anche la cattedrale, figura simbolica di una Chiesa in cammino, ci prepara la consegna per il nuovo anno pastorale: “Dalla Chiesa comunità eucaristica, alla Chiesa comunità educativa”.
Arrivederci, dunque, carissimi vercellesi, al Congresso Eucaristico di settembre».
P. Enrico Masseroni, arcivescovo
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Ecco i link dell’omelia integrale pronunciata dall’Arcivescovo nella basilica di Sant’Andrea:
Video 1: http://youtu.be/PV2zEk8JsRc
Video 2: http://youtu.be/zH6UrA2yR2Y