Cirio contesta la “zona rossa”, ma i medici piemontesi lo contraddicono: «E’ peggio di marzo»

Da oggi, venerdì 6 novembre, il Piemonte (insieme a Lombardia, Valle d’Aosta e Calabria) è “zona rossa”, quella a massimo rischio di trasmissione del virus e di conseguente difficoltà nella gestione della pandemia da parte delle strutture sanitarie.

Tale decisione ha provocato sin da subito la reazione del governatore della Regione, Alberto Cirio, che contesta la collocazione del Piemonte nella fascia rossa e i criteri con cui tale scelta è stata compiuta: «Mancano una visione complessiva e un metodo di valutazione oggettiva per tutti – afferma Cirio – Che fosse necessario irrobustire anche duramente le misure di contenimento al virus era evidente, tant’è che io lo avevo già anticipato con le ordinanze che avevano riguardato la scuola, la capienza del trasporto pubblico e i centri commerciali. E mancano anche le risorse: ristori immediati e esenzione delle tasse per le attività chiuse sono indispensabili. Il fatto che il Governo abbia scelto sulla base di dati vecchi di dieci giorni – dice il presidente – rischia di non tenere in considerazione tutti questi elementi, pone in una situazione più critica Regioni che sono in fase di miglioramento e non tiene invece conto del peggioramento di altre realtà del nostro Paese. In Piemonte l’RT è passato da 2,16 a 1,91 grazie alle misure di contenimento adottate. Si riscontra una fragilità dell’impianto scientifico della classificazione: almeno 4 o 5 Regioni non erano valutabili, perché non hanno trasmesso tutti i dati. Chiedo che il Piemonte venga classificato per i dati reali, come le altre Regioni. Per questo ho chiesto una verifica».

Tuttavia i medici piemontesi sono i primi a contraddire la posizione assunta da Cirio. In un comunicato diramato giovedì Anao Assomed Piemonte (l’associazione che raggruppa medici e dirigenti sanitari) non lascia spazio a interpretazioni: «La notizia di un nuovo lockdown è la risposta a quanto avevamo chiesto. Non per questo siamo felici. Il lockdown chiederà di nuovo sacrifici ai cittadini per permettere a noi medici di poterli curare. Adesso gli ospedali piemontesi sono al collasso, c’è il concreto rischio di non riuscire a curare i malati. E questo per un medico sarebbe davvero la pena maggiore: dover decidere chi curare. Gli effetti delle nuove restrizioni si vedranno tra 15 giorni, e per 15 giorni dovremo trattare i pazienti negli ospedali da campo, sperando che dopo vada meglio. Ora la situazione è critica: il contact tracing è saltato, i Pronto Soccorso continuano a vicariare le carenze del territorio, i medici ospedalieri sono pochi, stanchi e nonostante tutto gestiscono una seconda ondata pandemica peggiore della prima. Gli studenti, i commercianti, i ristoratori devono sapere che con questo sacrificio contribuiranno a salvare delle vite. Noi medici ce la metteremo tutta per fare lo stesso, ma avevamo avvertito: mai più come a marzo. Invece è peggio di marzo».