Il Piemonte torna giallo da lunedì. In regione oltre 172mila vaccinazioni, ma Icardi chiede certezze per il futuro

Le diverse “colorazioni” dell'emergenza

Dunque è ufficiale da lunedì 1 febbraio il Piemonte tornerà ad essere zona gialla. Un passaggio reso possibile anche grazie al calo della pressione ospedaliera e dopo una lunga giornata di confronto tra le Regioni e il Governo sui criteri che fanno scattare il passaggio di classificazione.

Il passaggio in zona gialla avverrà lunedì 1° febbraio perché l’ordinanza del ministro della Salute di inserimento nella zona arancione scadrà domenica 31 gennaio.

Con il ritorno in zona gialla si allentano diverse misure: la più evidente è quella relativa alla riapertura di bar e ristoranti, ma soltanto nella fascia diurna e pre serale, con chiusura alle 18 e con il coprifuoco resta fissato, per tutti, alle 22.

Intanto va avanti, anche se con una rimodulazione dei tempi, la campagna vaccinale in regione: dall’inizio delle operazioni in Piemonte i sanitari hanno proceduto all’inoculazione di 172.874 dosi (delle quali 36.871 come “richiamo”), corrispondenti all’86% delle 200.980 finora disponibili in regione.

E proprio disponibilità dei vaccini, modalità di distribuzione, categorie da includere e aggiornamenti sulle assegnazioni di medici e infermieri sono i quattro temi della campagna vaccinazione contro il Covid19 che il coordinatore nazionale della Commissione Salute e assessore regionale alla Sanità del Piemonte, Luigi Icardi, ha posto giovedì all’attenzione del presidente della Conferenza delle Regioni, Stefano Bonaccini, in una lettera, indirizzata anche al ministro della Salute Roberto Speranza e al commissario straordinario per l’emergenza Covid19 Domenico Arcuri.

Il documento, scaturito dalla riunione della Commissione presieduta da Icardi, pone in primo luogo la necessità di conoscere la disponibilità di almeno un “minimo garantito” di vaccini, da incrementare se le disponibilità dovessero essere maggiori, «in modo da dare certezze rispetto alla attività a favore dei soggetti più fragili e minimizzare il rischio di rimandare le attività o non poter attivare le disponibilità con il dovuto anticipo».

Riguardo ai criteri per la ripartizione dei vaccini tra le Regioni, viene contestata la nuova modalità individuata per la “fase due” che prevede l’assegnazione in proporzione alla quota di popolazione di ciascuna Regione: «Poiché esistono fra le Regioni differenze sensibili relativamente alla percentuale di popolazione di età uguale o superiore agli ottanta anni sulla popolazione generale – scrive Icardi – sarebbe più corretto considerare una distribuzione proporzionale alla numerosità della classe dei soggetti di età uguale o superiore agli ottanta anni di ciascuna Regione».

Lo stesso criterio, secondo Icardi, «andrebbe applicato anche ai soggetti di età uguale o superiore ai 60 anni e inferiore agli 80, che verranno vaccinati nel primo step della fase due».

La lettera fa notare come «la definizione non univoca fra le Regioni della popolazione target del primo step della prima fase (dedicata ad operatori sanitari e socio-sanitari e ospiti delle residenze per anziani, sulla base delle quantificazioni della popolazione target proposte dalle Regioni), ha fatto sì che si siano creati alcuni problemi sia in termini di distribuzione che di utilizzo dei vaccini. La partenza repentina della fase vaccinale – si legge nella lettera – ha reso complessa una definizione univoca che sarebbe stata assolutamente necessaria e fonte di condivisione di principi e criteri, sempre nell’ottica di ottimizzare l’utilizzo dei vaccini rispetto alla utilità per il Paese». Un passaggio che fa riferimento nemmeno troppo velatamente a talune distorsioni avvenute nella regola di immunizzare prioritariamente personale medico direttamente convolto nella battaglia al Covid, operatori e ospiti di Rsa.

Sempre relativamente all’individuazione delle categorie da includere nella vaccinazione, il coordinatore Icardi chiede «se l’assenza di previsioni per i professionisti sanitari che operano al di fuori delle strutture pubbliche o private accreditate indichi che questi debbano rientrare, se non presentano altre condizioni di età o condizione di fragilità, nella quarta fase del piano vaccinale, quella rivolta alla popolazione generale». A tal proposito, viene sottolineato che «per alcune specifiche attività sanitarie al comparto privato non accreditato fanno riferimento quote significative di popolazione».

Infine, la lettera indica che «sarebbe necessario poter disporre nei tempi minori possibili delle informazioni relative alle figure professionali, specificando se medici o infermieri o assistenti sanitari, che saranno assegnati alle singole regioni fra coloro che hanno aderito al bando nazionale», risultando inoltre essenziale «poter comprendere se e come e con quali costi verranno attivate le strutture “Primula”, in relazione alle quantità di vaccini effettivamente disponibili ed alla relativa dotazione di personale».