Firme false: Chiamparino supera anche lo scoglio del Consiglio di Stato
La sentenza emessa pochi giorni fa dal Consiglio di Stato, bocciando il ricorso della Lega Nord sul precedente pronunciamento del Tar, chiude di fatto la spinosa partita delle firme false che rischiava di invalidare l’elezione del presidente della Regione Piemonte, Sergio Chiamparino. Il governatore potrà dunque rimanere in sella fino al termine naturale della legislatura.
I giudici del Consiglio di Stato hanno confermato la decisone del Tar accogliendo le argomentazioni della difesa del Pd, sostenute dall’avvocato Vittorio Barosio. Se, da un lato, i magistrati hanno contestato irregolarità nella raccolta delle firme per una delle liste a sostegno di Chiamparino, dall’altro hanno rilevato che se anche «i voti raccolti dalla lista fossero reputati nulli tout court, lo scarto differenziale tra il presidente eletto e il candidato Pichetto (centro destra, ndr) resterebbe assai consistente a favore del primo e resterebbe quindi confermato il responso delle urne». Insomma ha prevalso la tesi dell’irrilevanza numerica ai fini del risultato finale.
Un’interpretazione che proprio non va giù all’esponente della Lega Nord valsesiana, Paolo Tiramani, già consigliere regionale nelle fila dell’amministrazione di Roberto Cota. Quella legislatura venne annullata proprio per irregolarità nella presentazione di alcuni candidati: «La sentenza del Consiglio di Stato – atacca Tiramani – nei confronti della giunta regionale targata PD e guidata da Sergio Chiamparino sul procedimento riguardante le firme false per la presentazione delle liste di centro sinistra alle ultime elezioni amministrative, evidenzia ulteriormente come la giustizia italiana viaggi su due binari ben distinti in base alle ideologie politiche delle persone imputate. E’ clamorosa la decisione presa dal Consiglio di Stato, in quanto a supporto delle liste di Chiamparino esistevano alcune decine di firme palesemente falsificate, tanto è vero che a supporto di questa tesi vi sia il fatto che ben nove consiglieri regionali su dieci implicati nella vicenda, abbiano deciso di patteggiare la pena ammettendo sostanzialmente la propria colpevolezza. La situazione creatasi – prosegue Tiramani – risultava ben più grave rispetto a quella di Michele Giovine, la cui unica colpa era quella di avere raccolto firme reali, a differenza del caso del PD, ma di averle autenticate nel luogo sbagliato. Non possiamo nemmeno parlare del fatto che esistano due pesi e due misure in quanto, in questo caso, le misure superano ogni confine. Il caso più eclatante si riferisce al tentativo di patteggiamento da parte del consigliere in carica Valle del PD, con la richiesta di soli 6 mesi di condanna al fine di evitare gli effetti della legge Severino. Mi auguro vivamente, al di là di ogni diatriba politica, che la Magistratura non accetti patteggiamenti tanto miti, soprattutto in considerazione del fatto che se paragonati alla sproporzionata condanna di 2 anni e 8 mesi inflitta a Michele Giovine per reati molto meno gravi, assumerebbero i connotati di un’ulteriore ed ennesima beffa nei confronti di una parte politica, la nostra, perseguitata negli ultimi anni dalla giustizia».