Da Vercelli altri 25 volontari a Mirandola, nell’epicentro del terremoto

Partita una colonna mobile di soccorso con automezzi e materiali (specie per l’allestimento di tende e posti letto). Sul luogo erano già presenti dal primo sisma ben 10 volontari del nostro coordinamento provinciale

Il nuovo fortissimo terremoto che ha colpito in maniera inaspettata e drammatica le stesse già martoriate zone dell’Emilia Romagna ha creato una difficile emergenza nell’emergenza che ha messo alla corda le strutture della Protezione Civile chiamate fin dal primo momento ad intervenire in soccorso delle popolazioni colpite. Immediatamente dopo la fortissima scossa di martedì 29 maggio si è compresa la gravità della situazione con l’accavallarsi di notizie che raccontavano di vittime, distruzione e danni e soprattutto di scoramento e disperazione in tutti coloro che avevano sperato che il peggio fosse passato e si accingevano, faticosamente, a cercare di ritornare lentamente nella normalità animati da una grande forza d’animo e dignità. Ma tutto è cambiato alle nove in punto del 29 maggio con un evento che, oltre al terribile bilancio della perdita di vite umane, della casa, del lavoro ha fiaccato la volontà di reagire della gente terrorizzandola e rendendola schiava della paura e privandola della speranza nel futuro.

Nelle zone terremotate la gente non ha più certezze: per tantissime persone il pensiero di rientrare in casa è diventato un incubo e il calare del buio viene vissuto come un autentico dramma tanto da far salire fino a quindicimila il numero delle persone che non possono o non vogliono rientrare in casa.

Per tutti questi motivi il Dipartimento della Protezione Civile ha richiesto alla Regione Piemonte l’attivazione di un nuovo “modulo di accoglienza”, cioè di una struttura dotata di tende, cucina, servizi, generatori di corrente  in grado di ospitare 250 persone.

La macchina della Protezione Civile piemontese si è immediatamente attivata mettendo in campo tutte le risorse disponibili in termini di uomini e mezzi negli otto “presidi” provinciali su cui si articola questa complessa macchina dei soccorsi.

Da Vercelli, in particolare, è stata predisposta una colonna mobile di soccorso composta da due autocarri porta container con un generatore di corrente e tutta l’impiantistica per illuminare e fornire energia elettrica al campo, tende e quelli che in gergo vengono definiti “effetti letterecci” (consistenti in una sorta di kit composto da brandina, materasso, cuscino con federa, due lenzuola e due coperte), un furgone con le attrezzature logistiche, oltre ad un pulmino e due fuoristrada per un totale di 25 volontari che partiti nella nottata hanno raggiunto alle prime luci dell’alba Mirandola, epicentro del terremoto.

Ad attenderli gli altri 10 volontari vercellesi che avevano avvicendato da pochi giorni il primo contingente partito immediatamente dopo il primo terremoto.

Solo il tempo di un rapido saluto con i colleghi, un caffè in un bicchierino di carta, qualche scambio di battute – al centro naturalmente il terremoto della mattina precedente e la devastazione appena vista di abitazioni e chiese crollate e capannoni schiantati come un castello di carte colpito  da un gigante impazzito – ma è già tempo di dare il cambio alle squadre che hanno lavorato tutta la notte a predisporre l’area della nuova tendopoli.

L’ampio spiazzo è già un brulicare di attività, una ruspa spiana le irregolarità del fondo, un elevatore scarica i container dai camion, si traccia sul terreno il profilo del campo che nascerà, si indossano guanti e caschi. I volontari sono divisi in squadre, vengono estratti dai container dei grossi fagotti e traspostati nel luogo stabilito per il montaggio. Ogni tanto la conversazione si interrompe, ci si guarda per un attimo, la terra trema ancora, per fortuna in maniera lieve. Qualcuno, più esperto, perché già sul posto da qualche giorno o perché ha vissuto l’esperienza in Abruzzo, rassicura: niente paura, andiamo avanti!

Tra il picchiare delle mazze per il fissaggio dei picchetti e il gracchiare delle radio in breve viene eretto lo scheletro, poi si monta la camera interna e la copertura, si finisce predisponendo i posti letto, alla fine, per tradizione si pone lo zerbino in dotazione all’ingresso della tenda ormai completa. Il montaggio della tenda è la prima cosa che si impara a fare quando ci si accosta al mondo del volontariato di Protezione Civile, una sorta di rito iniziatico, e sorgono anche piccole competizioni tra le varie squadre per aggiudicarsi l’effimero ma simpatico primato di aver ultimato la costruzione nel più breve tempo possibile (per la cronaca si narra che il record sia stato stabilito a Roma nel 2005 in occasione dei funerali di Giovanni Paolo II quando furono montate migliaia di tende per dare accoglienza ai pellegrini provenienti da tutte le parti del mondo, squadre di Alpini e di Boy Scout allestirono una intera tendopoli al ritmo di quarantacinque minuti per ciascuna tenda per sei persone completa di impianto elettrico, letti e naturalmente zerbino. Una squadra “normale” comunque se la cava in un’ora, un’ora e un quarto).

Il lavoro procede inarrestabile sotto il sole che dardeggia sempre più inclemente mano a mano che le ore passano. L’incaricato della distribuzione di bottigliette d’acqua ha il suo bel da fare. Una breve sosta per un frutto o un panino, la meritata sigaretta e alla fine della giornata le gloriose “P88”, le tende blu che delle emergenze che la televisione ci ha insegnato a conoscere sono perfettamente montate ed allineate. La stanchezza si fa sentire, ma il lavoro è ormai terminato. Una doccia, una maglietta pulita, un pasto caldo e poi un sonno ristoratore, in tenda naturalmente. Domani si ricomincia.

Tutto è pronto per accogliere gli sfollati: una tenda è sempre una tenda, ma può aiutare a vincere la paura e aiutare chi ha perso tutto a ricominciare.

 

Michele Catalano

Mirandola, 30/05/2012

 

I volontari vercellesi della Protezione civile allestiscono delle tende a Mirandola