Emergono altri particolari sugli “orrori” alla residenza “La Consolata” di Borgo d’Ale
«Calci, pugni e violenze di ogni genere solo per “farli stare buoni”. Era questo il “metodo” utilizzato da buona parte del personale della struttura residenza per anziani e disabili “La Consolata” di Borgo d’Ale, in provincia di Vercelli». Queste le parole utilizzate dagli agenti della Questura per raccontare ciò che accadeva nella struttura assistenziale del Vercellese praticamente “decapitata” dalla maxi operazione che, nel pomeriggio di venerdì, ha portato all’esecuzione di 18 misure cautelari a carico di medici, infermieri e operatori nella residenza gestita della “Sereni Orizzonti”.
Col passare delle ore e con la diffusione dei video ripresi dalle telecamere nascoste dagli agenti per documentare i fatti, la vicenda si arricchisce di particolari raccapriccianti. Tutti gli arrestati sono accusati, a vario titolo, dei reati di maltrattamenti, abbandono di persone incapaci e sequestro di persona. I poliziotti hanno fatto irruzione nella casa di riposo dove in quel momento c’erano otto degli indagati, mentre gli altri dieci sono stati fermati nelle proprie abitazioni. Undici di loro sono finiti in carcere e gli altri ai domiciliari. Un’altra persona è invece indagata in stato di libertà.
L’indagine è stata denominata “Resident evil” (dal nome di un film dell’orrore) proprio per la particolare brutalità, crudeltà e mancanza di umanità con cui venivano trattate quotidianamente le persone ricoverate nella casa di riposo. Secondo quanto riferito dalla Questura «L’attività investigativa della Mobile è iniziata dopo la denuncia presentata nell’agosto scorso dal papà di una paziente trovata con diversi segni sul corpo che potevano essere riconducibili a maltrattamenti. Gli agenti hanno piazzato telecamere nascoste nella struttura e analizzando le immagini si sono resi conto di ciò che accadeva in quella che era diventata una vera e propria casa degli orrori. Le vittime accertate sono al momento dodici che hanno subito più di 300 episodi di violenze gratuite; molte di loro erano pazienti disabili che quando davano particolarmente “fastidio” subivano il trattamento che li faceva stare buoni. E quando i familiari chiedevano spiegazioni in merito alle lesioni riscontrate sul corpo dei propri cari, il personale dell’istituto si giustificava attribuendo le ferite a infortuni causati dalle loro precarie condizioni fisiche e mentali».