L’altalena
L’altalena. La sconfitta interna della Pro ad opera del Gozzano rappresenta quella fase dell’altalena in cui sei in basso e vorresti risalire con una spinta. Ma – se non hai nessuno dietro – la spinta te la devi dare da solo, l’abbrivio, l’energia con le gambe non te la possono dare gli Innamorati, sia quelli perplessi sia gli altri fiduciosi, non te la può dare l’allenatore che fa il possibile con chi ha a disposizione, non può essere fornita dalla Società quando – ad impressione di diversi tra i tifosi residui – ritiene che al netto di un gruppo adeguato per raggiungere la salvezza economica e sportiva sia sufficiente avere in campo sempre almeno tre o quattro giovani da valorizzare, giocare con ardore e cattiveria agonistici, fare la miglior figura e dare l’impressione di poter lottare con tutte, qualche volta magari riuscendoci. Ed è subito tempo di spinta sopra l’altalena, perché mercoledì si giocherà a Pontedera, un nome che mi fa sempre venire l’orticaria. Ci sono posti anche bellissimi che sono però legati all’immaginario collettivo- o personale – da fatti, eventi, storie che li marchiano per l’eternità. Ecco, Pontedera per me è uno di questi, la disfatta di numerosi sogni in bianco, la Waterloo, tradimenti di sogni compresi. L’altalena bianca che presumibilmente vivremo in questa Stagione è lo sviluppo logico di una squadra con un mister – Alberto Gilardino – che fa bene quel che può ma al momento per i miracoli laici non è ancora attrezzato, non può trasformare uno a caso tra i centrocampisti a sua disposizione in un faro del centrocampo, non può regalare la velocità, l’intelligenza tattica e la prontezza di riflessi a due o tre soggetti componenti la griglia difensiva del Leone, non può trasmettere il senso del goal all’attualmente scalcinato reparto offensivo. Tutto ciò al netto degli infortuni, flagello cadente su tutte le squadre di calcio, non è la Pro la più sfortunata. Attualmente scalcinato nel senso di ieri, magari per mercoledì a Pontedera i calcinacci sono tolti ed il reparto restaurato e segnante con il materiale di risulta. A tutto ciò, a queste considerazioni che descrivono lo stato d’animo di noi che ci troviamo nella palude dove i sogni sono un po’ per volta mangiati dalle sabbie mobili, si aggiunge il desolante spettacolo di spalti semideserti come l’autostrada di Venditti, gradinate abbandonate da chi è riuscito a lasciare la palude prima che troppe lacrime e rimorso appannassero la vista. Dal punto di vista tecnico-tattico non c’è granché da aggiungere dopo la partita con il Gozzano, due goal presi su due indecisioni, sviste, ingenuità difensive e per difensive intendo di tutto il reparto e non solo di Moschin, a lui non potete imputare sempre tutte le responsabilità dei goal presi. Se nessuno spazza via dall’area dopo la respinta o se Cecconi prende la traversa della sua porta non è colpa di Moschin. E non è colpa neppure della difesa, o del centrocampo che ieri ha costruito poco o nulla, o ancora dell’attacco spuntato. La colpa quando diventiamo troppo tristi dopo una sconfitta è un po’ nostra ed un poco anche di chi ha spezzato i sogni soffiando sopra le nuvole di un entusiasmo pronto a rinascere intorno alla Pro, dopo la retrocessione dalla B ed una Stagione senza identità definita, né da comprimaria né da protagonista. Siamo invece partiti nelle dichiarazioni della vigilia di campionato con il vestito da piccola fiammiferaia mentre ogni volta dovremmo indossare i panni di vietcong arrabbiatissimi o maiali assatanati, come dice Ezio Capuano. A partire magari dalla fatale P., omettendo l’intero nome per non commuovermi proprio alla fine.
Paolo d’Abramo